Davanti San Guido:
analisi della poesia di Carducci
Nella lirica “Davanti San Guido” di Giosuè Carducci possiamo trovare, armonicamente fusi, alcuni dei motivi più autentici della poesia carducciana: il rimpianto per la fanciullezza lontana, l’amore per i paesaggi solari e luminosi, gli affetti familiari, la ricerca senza risultato della felicità. Si tratta di un componimento schietto e spontaneo, anche se a volte piuttosto incerto nella struttura.
San Guido è una località del comune di Castagneto Carducci, in provincia di Livorno, situato nella zona della Maremma. L’oratorio di San Guido (nella foto) è un edificio sacro che si trova in questo luogo. Oggi la chiesa è una famosa meta del turismo culturale, proprio per la celebre poesia di Giosuè Carducci, “Davanti San Guido“.
Rime nuove
La poesia fu pubblicata nella raccolta Rime nuove nel quinto libro, che comprende poesie di vaghi ricordi autobiografici, vibranti di una romantica malinconia. La composizione venne fatta in due tempi, tra loro molto distanti e anche molto diversi per circostanze e condizioni psicologiche, ma riunificati dai temi dell’idillio e della nostalgia.
Parafrasi
Dal treno in corsa verso il nord, lungo il litorale maremmano, sul fare della sera, il poeta vede d’improvviso i luoghi dell’infanzia e improvvisamente sgorgano dalla sua mente e dal suo cuore ricordi, sogni ed affetti. Vede ed è visto, e un dialogo si intreccia tra lui e il paesaggio, fra lui e le entità della natura.
Sono i cipressi del vialone tra l’oratorio di San Guido e il colle di Bolgheri che lo invitano a rimanere con loro, per riposarsi alla loro ombra ed immedesimarsi nel ritmo benefico e vitale della natura. Il poeta si schermisce e respinge gli inviti amaramente consapevole che il passato non ritorna, le illusioni sono cadute, la realtà è dominata dai doveri e dalle cure.
Di seguito il testo della poesia in quartine “Davanti San Guido“.
Testo completo della poesia
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.Mi riconobbero, e – Ben torni omai –
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino –
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! –– Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei –
Guardando io rispondeva – oh di che cuore!Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.E massime a le piante. – Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
– Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. –Ed io – Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Titti – rispondea – ; lasciatem’ ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! –– Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? –
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!– Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. –Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Analisi della poesia
Giosuè Carducci, pensa alla sua Tittì, la sua cara bambina, la minore delle tre figlie che allora aveva circa due anni e che lo aspetta adesso trepidante a Bologna. I cipressi è come se avessero capito che non è altro che un uomo tormentato dagli affanni e dalle delusioni della vita. Lo invitano a rimanere e a non seguire le idee e le passioni vane che sono colpevoli dell’infelicità umana.
Giosuè Carducci
Tra le immagini evocate dalle parole dei cipressi, sorgendo da un cimitero in cima al colle, dove è sepolta, compare infine nonna Lucia, a ripetere la novella di colei che lungamente e vanamente cercò il suo perduto amore. Si tratta della novella di Re Porco che aveva colpito particolarmente il poeta, soprattutto per la scena in cui Ginevra cerca di svegliare il suo sposo che è immerso in un sonno profondo e fatato, quasi a simboleggiare l’impossibilità umana di trovare la tanto ricercata felicità.
Forse è là il bene sognato e sempre cercato dal poeta: la pace del cimitero. Forse è questa la vera saggezza: il pensiero della morte. La poesia si conclude da un lato con l’immagine dei puledri che ricordano la giovinezza che il poeta insegue e dall’altra con la figura dell’asino che simboleggia gli uomini chiusi che si accontentano e che non trovano mai la vera strada della felicità.
Sintesi
In sintesi, “Davanti San Guido“, è il racconto di un viaggio reale e mentale, una poesia di evocazione e confessione, che si muove tra i termini opposti di sogno e realtà, di fanciullezza e maturità, in armonia con la natura seguendo i fantasmi del pensiero.